lunedì 29 aprile 2013

QUELLO CHE I GIORNALI TICINESI TACCIONO: CHIUSURA DELLE FRONTIERE E SCHIERAMENTO DI SOLDATI PER IMPEDIRE L'INGRESSO AI LAVORATORI CHE VENGONO DA FUORI

Stamattina mi sono scontrata con quella che per me non è solo una gran vergogna per la nostra Svizzera (e per il nostro Ticino) che a più riprese ha sbandierato di "difendere i diritti umani, soprattutto quelli inerenti al lavoro", ma per la quale il termine "vergogna" è assai riduttivo: stranamente i nostri giornali non vi hanno dedicato neppure un rigo, quando invece secondo me ci sarebbe stato da farne almeno un articolo di due pagine se non di tre o quattro. Invece ancora una volta, per andare a scoprire le verità scomode sul nostro Bel Paese (perché a quanto pare a noi le verità scomode non piacciono, né tanto meno piacciono ai nostri giornalisti e ai nostri politici), sono dovuta andare a cercare nel sottobosco, ovvero in quei giornali "piuttosto di parte" che scrivono al di là dell'altra parte della frontiera.
In sostanza da poco più di una settimana, la nostra Svizzera, temendo "invasioni dall'UE", ha applicato una clausola dei trattati di Bruxelles che consente di restringere per un anno gli accessi dai paesi europei.
Ovvero, per farla breve, sia i lavoratori frontalieri che europei, per un anno avranno un accesso limitato al mercato del lavoro svizzero. Ma, a parte che questo provvedimento, pur essendo previsto nei trattati, mi sa molto di "razzismo oltre che di violazione dei diritti umani", credo che lo stesso non sia nemmeno una soluzione definitiva al "grave" teatrino che si sta svolgendo ormai da diversi anni ma che nessuno, fuorché qualche partito politico di nicchia, ha mai trovato il coraggio di denunciare con fermezza: protagonisti ne sono due categorie di lavoratori, ticinesi e italiani, e un gran burattinaio (le aziende, i pochi ricchi ed imprenditori che ci sono sul nostro territorio, spesso capi di partiti politici ticinesi, che ci sguazzano a meraviglia in questa situazione visto che la stessa porta nelle loro tasche fiumi di denaro) che tirando semplicemente "i fili", frega entrambi. In che modo?

Semplice. A livello sindacale ed equo, un lavoratore qui da noi dovrebbe ricevere come minimo tra i 3000 e i 3500 franchi netti al mese, in quanto com'è ben la vita da noi costa molto cara (basti pensare che per un appartamento qui si spendono tra gli 800 e i 1000 franchi al mese, mentre la cassa malati chiede tra i 150 e i 300 franchi circa, e poi ci sono le tasse, l'automobile per chi ce l'ha, oppure un abbonamento del treno che mediamente al mese costa circa 200-250 franchi, e dulcis in fundo per la spesa, se si decide di farla sul nostro territorio, si arrivano a spendere fino a 400-500 franchi se si decide di saccheggiare il negozio...peccato che poi la stessa basti per appena due settimane) e per far sì che una persona possa vivere dignitosamente e senza dover ritrovarsi obbligata a scegliere se pagare la cassa malati o fare la spesa per arrivare alla fine del mese.

Invece il quadro reale (e sottolineo reale, perché essendo passata sia tra le grinfie della disoccupazione che dell'assistenza, l'ho potuto toccare con entrambe le mani) è questo: approfittando della libera circolazione, per risparmiare sui lavoratori e guadagnare sempre di più, spesso le aziende, i pochi ricchi, gli imprenditori, decidono di non assumere personale indigeno, troppo "costoso" per loro, e di puntare sulla manodopera che arriva da oltre frontiera. Ma questo cosa comporta?

I lavoratori ticinesi che finiscono in disoccupazione, se non trovano un lavoro in un certo lasso di tempo o non ci riescono "perché la ditta assume solo frontalieri" (qui da noi ci sono anche queste situazioni), terminano la loro corsa all'ufficio dell'assistenza e del sostegno sociale. L'assistenza, pur essendo un servizio, non solo è un'immane spesa per il cantone e che spesso lo porta a congelare i fondi per quelle associazioni culturali che formano gli studenti e li preparano a fare il loro ingresso nel mondo professionale, ma pone l'assistenziato in un grave situazione di indigenza.
Quando mi sono scontrata con questa realtà, mi sono ritrovata a vivere con 1450 franchi al mese. Credetemi, non sembra, ma con quella cifra qui da noi in Ticino non si vive: pagati infatti l'affitto, le spese e le tasse, spesso e volentieri ci si ritrova in tasca con meno di 100 franchi al mese, e con quelli devi fare la spesa e provvedere alla tua sopravvivenza per un mese. Con meno di 100 franchi da noi compri a malapena la spesa di tre giorni, pertanto per l'assistenziato si apre solo una strada: il "Tavolino Magico", che per un franco di contributo per i volontari ti permette di sopravvivere e di prendere qualche alimento che in una Coop o in una Migros qualsiasi costa gli occhi della testa. Già per una sola economia domestica vivere così è difficoltoso, ma per un nucleo familiare che conta tre-quattro persone è una tragedia: nella Svizzera che si vanta tanto di essere ricca e del benessere delle sue persone, ho visto bambini con le guance scavate perché non avevano abbastanza da mangiare, o con addosso gli abiti del fratello/della sorella, spesso e volentieri presi anche loro dalla Caritas, perché il papà, non avendo trovato nessuno che lo assumesse anche se aveva un apprendistato concluso alle spalle o una laurea universitaria, si è visto proporre come unica alternativa l'ufficio dell'assistenza e del sostegno sociale...e insieme ad esso il minimo vitale per sopravvivere.
Attualmente questa è la situazione in cui molti ticinesi, quando non sono in disoccupazione, si ritrovano e vivono.

Ma le cose non vanno molto meglio per i frontalieri. Fino a pochi anni fa lavorare da noi conveniva ancora, ma dato che il burattinaio non è stupido, ha capito ben presto che si può riempire le tasche facilmente anche dalla loro situazione. Spesso e volentieri infatti, pur essendo contemplata nella maggior parte dei contratti di lavoro (oltre che ad essere un obbligo per il datore di lavoro stesso), i lavoratori provenienti dall'Italia non ricevono né i contributi per i figli (per intenderci: qui da noi, fino a quando il figlio non ha compiuto 25 anni, il datore di lavoro è obbligato a corrispondere al suo dipendente 250 franchi in più per ogni figlio) né tanto meno quelli per l'assistenza sanitaria. Non sono inoltre tutelati a sufficienza, soprattutto nell'ambito edile, in quanto "il lavoro nero" e le irregolarità contrattuali sono all'ordine del giorno, e spesso non c'è nemmeno una formazione adeguata sulla sicurezza nel caso di lavori pericolosi o che possono metterne a rischio in qualche modo la salute: se così fosse stato, qualche giorno fa l'ennesimo lavoratore esterno non avrebbe perso tragicamente la vita in un altro cantiere, e per giunta nel modo più brutto e doloroso...stritolato da una bettoniera in funzione, a 37 anni e con una famiglia a carico. 
Dulcis in fundo, e questa è una realtà che purtroppo, sebbene nascosta e taciuta da molti, c'è e ci si va a sbattere il naso violentemente soprattutto quando si entra in contatto con questi lavoratori e ci si parla senza mettersi davanti il paraocchi né tanto meno il razzismo che va tanto di moda in certi partiti politici, i frontalieri che lavorano in Svizzera non solo non guadagnano di più di quello che guadagnerebbero lavorando in Italia, ma in più vengono pagati in euro e non in franchi svizzeri. Nulla di grave, se non fosse che agendo così, i datori di lavoro li fregano anche con il cambio...a livello odierno, le nostre banche calcolano in media 1 euro=1,27 franchi svizzeri. Pertanto, pagando gli stipendi in euro, i datori di lavoro si intascano circa 200-300 franchi dello stipendio di un lavoratore italiano. Fate quindi un po' i conti nel caso una ditta impieghi più lavoratori frontalieri al suo interno ed applichi questo sistema...

Per concludere, e continuerò a ribadirlo perché io non solo sono una persona libera dai vincoli di qualsiasi partito politico e che serve troppo facilmente verità preconfezionate "ad hoc", ma in più ci sono andata a sbattere parecchie volte contro entrambe le realtà: la chiusura delle nostre frontiere non serve, come neppure serve metterci i soldati con i fucili spianati, come neppure serve il razzismo e la chiusura mentale da parte dei lavoratori ticinesi che credono di essere defraudati del loro lavoro perché le aziende assumono frontalieri, come neppure serve che i partiti politici giochino sulla loro creduloneria, per poi assumere nelle loro ditte e sotto di sé frontalieri e lavoratori esterni sottopagati. Ma serve che per una buona volta per tutte nasca la consapevolezza, in entrambi i burattini, che questo sistema è malato, molto malato, e che anziché continuare ad asservire il burattinaio, occorre invece scendere in piazza, fare scioperi, denunciarlo pubblicamente per i soprusi e per le sue scelte anti lavorative e disumane e gridare a gran voce che non ci stanno più. 
Solo in questo modo, e solo abbassando la barriera tra di loro e non accapigliarsi sempre come ratti per un singolo pezzo di crosta (perché il formaggio vero e proprio se lo mangiano quelli in alto), potranno spezzare i fili che li legano al burattinaio ed avere pari diritti di trattamento.

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